Il canto e la musica infatti accompagnavano non solo il ciclo della vita di ogni singolo uomo, ma anche il ciclo produttivo e festivo dell'intera comunità.
è impossibile stabilire l'epoca d'origine di questi componimenti in quanto tutto il patrimonio letterario popolare si è tramandato a tutt'oggi esclusivamente per tradizione orale.
Questo patrimonio ha conosciuto l'usura del tempo e della trasmissione orale la quale, di generazione in generazione, ha impresso i segni dell'evoluzione registrati nel corso dei secoli.
Le ninnananne, i canti a stisa o a paravoce, le Strine, le Passioni, i moroloja, le pizziche sono esempi di diverse espressioni di sentimenti popolari trasmessi nell'immediatezza di ritmi musicali che si tramandavano poi nel tempo.
Quasi infinite le varianti dei versi di ninnananne che sono state raccolte dagli studiosi locali; questi canti, avendo la funzione di trastullare e addormentare i piccoli, esprimono un sentimento umano assai diffuso e, poiché il ritmo è un loro lamento essenziale, finiscono col diventare materia di poesia popolare.
La Strina è invece il canto griko che accompagna la nascita del nuovo anno, momento in cui l'uomo sociale ritorna bambino per cominciare, insieme al seminato dei campi, un nuovo ciclo di vita.
La Strina infatti, uno dei canti religiosi-pagani e di questua più complessi e completi che si riconosca nel Salento e nella Grecìa salentina, è particolarmente importante nell'ambito delle tradizioni popolari legate alle festività natalizie. Intere compagnie di musici con tamburelli, organetti, sonagliere, colasciuni (un antico strumento locale a corde ormai scomparso) e cupa cupa, si spostavano durante le feste di Natale e Capodanno, fino all'epifania, da un casolare all'altro, di masseria in masseria, a portare la notizia della nascita di Cristo ed anche per avere qualche provvista in cambio.
Questi motivi (i buoni auspici e i doni finali), fanno pensare alle Strine come ad antichissimi canti pagani di propiziazione ai quali si è poi successivamente sovrapposto, con l'avvento del Cristianesimo, il racconto della nascita di Cristo.
Un'altra forma di canto religioso griko, il più complesso che si conosca, è dato dalla Passione che veniva effettuato la domenica delle Palme. Si narra della vita e della morte di Cristo in termini popolari, conditi da una religiosità fatalista e legata soprattutto alle cose terrene.
Durante la settimana Santa, tre cantori si recavano nei paesi di lingua grika e, nei pressi di crocevia cantavano recitando la Passione. In genere uno dei tre suonava l'organetto e gli altri due si alternavano recitando una strofa ciascuno. I cantori avevano con se un ramo d'ulivo ricoperto di nastrini colorati, di immagini sacre e di arance (antico simbolo di fecondità) ed alla fine del canto chiedevano una ricompensa in denaro o in natura.
La Passione è forse la prima forma di teatro popolare che si conosca nella Greca salentina, oltre ad essere infatti un'espressione narrativa, può considerarsi la forma più autentica di espressione teatrale, molti sono i richiami alla sacre espressioni medievali. I cantori non si limitano a cantare ciascuno le proprie strofe, ma mimano il racconto della Passione di Cristo con gesti delle mani e delle braccia e con accentuata mimica del volto per sottolineare la drammaticità delle azioni descritte.
I canti che vengono chiamati localmente a stisa o a paravoce, non prevedono l'accompagnamento musicale, essi erano eseguiti quasi sempre dai contadini che tornavano all'imbrunire dai campi a piedi o col traino, ed anche durante i lavori collettivi in campagna, quali la raccolta del tabacco o prima ancora, del lino.
Il canto polifonico a paravoce segue più o meno questo schema: inizia il canto la prima voce a cui risponde la seconda voce ripetendo solo l'ultima parola del verso, nel verso successivo inizia ancora la prima voce alla quale però si uniscono a metà verso tutte le altre voci e all'ultima parola del verso si unisce la voce più alta chiamata finta; queste due tecniche vengono usate alternativamente di verso in verso.
Il riferimento alla coltura del lino fa risalire questi canti a periodi precedenti al XVIII secolo.
Moroloja significa canto dei morti: secoli di tradizione e di cultura che oggi è possibile ascoltare ancora su richiesta dalla voce di qualche anziana prefica (donna pagata per piangere e lodare il morto durante la veglia). Quello delle prefiche è un canto lamentoso che scade frequentemente nel tono parlato, che rifugge quasi per pudore delle piacevolezze del canto ed evita di proposito l'armonia dello schema musicale.
Si tratta di un tipo di espressione che si è tramandata di generazione in generazione con degli schemi, melismi e formule pressoché intatte. Canto funebre quindi come liberazione della pienezza dei sentimenti e, tra questi, anche il dolore che viene vissuto a fondo. Oggi moroloja e prefiche sono un ricordo degli anziani.
Quando la primavera lasciava posto all'estate ed era il tempo della mietitura, della raccolta del tabacco, dei lavori nelle aie che spesso la sera si trasformano in luogo di festa: al suono di organetto, violino e tamburello giovani e anziani che convenivano anche dalle masserie vicine, si incontravano per suonare, cantare e ballare la pizzica.
La pizzica è espressione della storia e della cultura di un popolo.
Antichissima tradizione di musico-danza-terapia salentina, oggi molto praticata a scopo culturale, ricreativo.
Fino a pochi decenni fa serviva per curare le tarantate, donne e alcune volte uomini, che durante il lavoro dei campi, venivano morse dalla tarantola e impazzivano. Era necessario chiamare i suonatori che eseguivano questa musica ritmata, ripetitiva, ossessiva che sostiene uno stato di trance.
Elemento principale e simbolo della pizzica è il tamburello leccese, si suona in modo da dare il ritmo base, deciso, costante e altri battiti che fanno suonare i sonagli.
La pizzica, come tutti i canti salentini è metricamente costruita per essere suonata con il tamburello, che oltre a essere lo strumento fondamentale è un coacervo di simbolismi: il cerchio di legno rappresenta il sole e la luna segni opposti e complementari, nella cosmologia popolare, di giorno e di notte, vita e morte. La forma solare e lunare dello strumento viene confermata e ribadita dalla decorazione che in alcuni casi orna la membrana.
Essi ripropongono, al centro dello strumento, la forma circolare della cornice, spesso circondata da cerchi più piccoli che si collocano rispetto al tondo centrale come stelle rispetto a un pianeta. Questa immagine è a volte arricchita da raggi che dal centro si dipartono verso l'esterno del cerchio, immagine sintetica di fasci di luce che si irradiano dalla sorgente centrale.
L'orchestrina tradizionale era formata da tamburelli, un violino, una chitarra e un organetto, era quindi una musica popolare, che chiunque poteva suonare, la musica non era fine a se stessa, ma era terapeutica; in realtà oltre al morso del ragno, c'era una forte voglia di esprimersi, di liberarsi da quel senso di oppressione nel quale le donne contadine vivevano.
Ciò accadeva in occasione del 28 e 29 giugno in concomitanza dei festeggiamenti di S.Paolo a Galatina, quando si svolgevano i lavori più duri nei campi sotto il sole cocente.
Il tarantismo dal quale nasce la pizzica, è un fenomeno che ha interessato il Salento in particolare, ma quasi tutto il Sud, per molti secoli, attraverso una ritualità precisa.
In origine era un rito pagano che si svolgeva attraverso la danza e la musica (sembra abbia preso origine dai riti dionisiaci della Magna Grecia) dal Medioevo in poi si sviluppa in senso religioso tanto da creare il binomio tarantati e S. Paolo.
Il poeta Salvatore Quasimodo per il documentario del 1961 girato da Mingozzi scrive i seguenti versi ... il 28 giugno di ogni anno, sotto il sole, mentre i carri portano il suono cupo di solchi lacerati di torrente pietra su pietra colore del fuoco, vanno le tarantate e quelle che sono state liberate dal male, nella cappella di S. Paolo, con la speranza di ascoltare dal forte labbro del Santo, una parola che annienti ogni forza malefica sulla croce di due pietre.
La pizzica è l'unione tra la musica ottenuta dagli strumenti musicali quindi, il canto e la danza.
Oggi sopravvivono altre forme di danze degli attarantati di un tempo: la pizzica de core (della gioia) detta anche pizzica-pizzica e la pizzica scherma.
La pizzica de core, si danza oggi, soprattutto in occasione di feste popolari, di matrimoni, cresime, feste familiari, ed è fondamentalmente una danza saltata di coppia mista a ritmo veloce che viene ballata da tutti, grandi e piccoli, diventando espressione di sentimenti di gioia, amore (corteggiamento), entusiasmo, passione. Un tempo si danzava in famiglia, in gruppo a file di coppie frontali o a quadriglia.
La pizzica scherma (danza dei coltelli) si danza la notte tra il 15 e il 16 agosto, durante la festa di S.Rocco, a Torrepaduli, presso Ruffano (Le). è una danza rituale di coppia, a tema antagonista, che in passato prevedeva la presenza dei coltelli nelle mani dei danzatori, e radunava i migliori suonatori di tamburelli attorno ad interminabili ronde di danze e sfide, che si protraevano tutta la notte.
Oggi i coltelli sono sostituiti dalle dita indice e medio della mano, che colpiscono il petto dell'avversario, il tutto accompagnato da ritmi danzati agili ed eleganti.
è prevalentemente danzata da uomini e si accompagna con tamburelli, e armonica a bocca a ritmo di tarantella pizzica: le azioni, i gesti, gli attacchi e le parate derivano da antichi codici d'onore e di rispetto che regolavano la gerarchia e le dispute nel mondo degli zingari, commercianti di cavalli.
Luca Ravagnan